Uno dei fondatori di APCA, racconta la lotta della Patagonia e delle popolazioni argentine contro il fracking, la nuova tecnologia estrattiva, estendendo la riflessione ai possibili sviluppi internazionali.
da http://www.euroroma.net/articolo.php?ID=3459&cat=AMBIENTE
Se il concetto di guerra preventiva per l’affermazione della democrazia e contro il terrorismo, servì a legittimare in paesi come Afganistan ed Iraq, l’intervento militare per l’accaparramento di petrolio e gas, oggi la definizione dirinascimento energetico, giustifica l’uso di nuove tecniche estrattive dannose per l’uomo e l’ambiente.
Si nasconde nel significato del termine, l’idea di un’indipendenza energetica (da Russia e Paesi arabi) affatto pertinente alle fonti rinnovabili, ma ancora e dolorosamente, alla ricerca di idrocarburi questa volta da sorgenti non convenzionali. La tecnica per estrarli dagli strati profondi del sottosuolo si chiama fracking, ossia fratturazione idraulica della roccia, mediante cariche esplosive e milioni di litri d’acqua misti a sabbie e ad agenti chimici fortemente inquinanti.
Le conseguenze di questa tecnologia riguardano la contaminazione dell’acqua, la migrazione di gas e fratture geologiche che recenti studi, hanno messo in relazione con movimenti sismici. Nonostante i danni provocati, le sanzioni che le imprese petrolifere sono state condannate a pagare,come è accaduto a Chevron in Ecuador e l’opposizione della società civile, il fracking continua ad essere utilizzato creando scenari sempre più inquietanti, senza badare al prezzo che esseri umani ed ambiente sono costretti a pagare.
E’ il caso dell’Argentina, considerato il nuovo Eldorado e solo la prima tappa di un progetto estrattivo molto più ampio. Ne parliamo con Giulio, un’attivista italiano da anni residente in Argentina e tra i fondatori di APCA (Asamblea Permanente del Comahue por el Agua), che partendo dalla situazione locale del Nord della Patagonia, estende la sua riflessione ai possibili sviluppi globali riguardanti economia, ambiente e diritti umani.
L’intervista prende subito il ritmo di un racconto che tradisce l’urgenza d’informare sui fatti, i cui precedenti si rintracciano nelle politiche neoliberiste dell’allora Presidente argentino Carlos Saùl Menem che negli anni ’90 del XX sec., avviò un’ampia opera di privatizzazione delle più importanti aziende pubbliche tra cui YPF (Yacimientos Petrolìferos Fiscales), l’impresa petrolifera statale argentina quasi regalata alla spagnola Repsol. Quest’ultima attuò una politica di depredazione dei giacimenti convenzionali e nello stesso tempo scoprì il sito di Vaca Muerta, il giacimento di gas shale ad oggi, più grande del mondo fuori dagli Stati Uniti. Successivamente il governo per partecipare alle attività di estrazione decise di nazionalizzare la YPF, di cui l’Argentina detiene il 51% e di permettere l’ingresso alle multinazionali, le uniche in grado di utilizzare la tecnologia del fracking, molto costosa e poco redditizia se si pensa che il tasso di ritorno energetico è al massimo di 1,5 ed oltretutto, bisognosa di infrastrutture e di un’alta preparazione degli operatori che in Argentina non esiste.
Giulio continua spiegando che nel paese l’opera più distruttiva l’ha compiuta Apache, un’impresa di Houston specializzata nel fracking, che ha portato avanti il lavoro di esplorazione soprattutto nelle province di Neuquen e Rio Negro. Essendo i due giacimenti differenti, poiché hanno orizzonti geologici e profondità diversi, in Neuquen si è cercato soprattutto il gas shale come in Vaca Muerta, che si ricava dalla roccia di scisto, a Rio Negro invece il tight gas che si estrae dalle arene compatte. Anche il contesto sociale dove queste esplorazioni sono state avviate è importante. Nel Rio Negro, precisamente nella bioregione del Comahue rinomata in Argentina per la produzione di mele e di pere, i pozzi sono stati costruiti proprio dentro i frutteti e per riuscirci, già da tempo il governo aveva attuato un piano di indebolimento dei piccoli e medi agricoltori, favorendo i grandi produttori che comunque, si troveranno nell’impossibilità di esportare perché se le pere contengono idrocarburi, non potranno essere immesse nel mercato.
Ciò ha comportato un grosso impatto sociale spiega Giulio, essendosi quel territorio costituito come terreno produttivo già alla fine dell’ ‘800 quando, anche grazie all’apporto dell’Ing. Cipolletti di Roma, un progetto d’ingegneria idraulica rese fertile la valle che era semi desertica. La zona e la città sono quindi legate indissolubilmente alla produzione della frutta, che ha dato lavoro a molte persone e per tanto tempo, mentre il petrolio non riesce ad occupare un numero così elevato di lavoratori.
Situazione diversa è quella dei territori Mapuche, le comunità indigene che vivono in una zona vicina 150 km dalla capitale Neuquen e 170 km da Allen. In particolare Apache, aveva scelto di costruire i pozzi sperimentali di shale gas ed oil, nel territorio della comunità Gelay ko che significa luogo senz’acqua. La comunità in un primo momento si oppose al progetto, così per ovviare al rifiuto il governo locale dell’MPN, il Movimento Popolare Neuquino da 51 anni al potere, propose insieme ad Apache, un progetto di responsabilità sociale d’impresa per far sì che la comunità si ammorbidisse ed accettasse. Queste iniziative servono infatti, a convincere le persone sulla convenienza dell’investimento che promette lavoro e qualche beneficio. La comunità a quel punto si spaccò, una parte accettò i benefici e ricevette case, lavori dentro il giacimento ed altre agevolazioni, l’altra parte della comunità che non si era piegata al ricatto,iniziò a subire la repressione, ovvero intimidazioni, percosse, minacce di vedersi portati via i bambini perché accusati di usarli come scudo umano, ed altre situazioni legate alla povertà e alla mancanza d’acqua. Alla fine per aggirare il dissenso, i pozzi vennero costruiti durante l’estate, quando la comunità che vive di pastorizia, si spostò per la transumanza. Tornando a casa i Mapuche trovarono, oltre a due pozzi finiti, una piscina enorme fatta di materiale plastico e destinata a contenere 25 milioni di litri d’acqua.
L’impatto ambientale, sociale e culturale sono altissimi continua Giulio, senza contare l’ingiustizia che viene perpetrata al popolo Mapuche, vittima di un reato di lesa umanità perché privato dei propri diritti alla sicurezza ed alla sopravvivenza in quanto popolo originario, stabiliti per dichiarazione dell’ONU da leggi che sono dei trattati internazionali ratificati anche per l’Argentina. Ad esempio la convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, sancisce che i popoli indigeni abbiano diritto alla consultazione previa, informata e vincolante, per qualsiasi attività si voglia compiere nel loro territorio. Il problema è che di proposito molte comunità non vengono riconosciute dallo stato provinciale, perché il fracking diventa anche una grande speculazione immobiliare, visti gli alti compensi delle royalties oltre che del passaggio di servitù spettanti a chi vive vicino ad un pozzo ed è il proprietario della terra. Tutto ciò significa avere molti soldi che vengono pagati dalle imprese del petrolio, per comprare il silenzio di quelli che sono gli impattati potenziali o effettivi.
Per i Mapuche gli esseri umani non sono differenti dalla natura, essi coesistono con Wallmapu, questo vuol dire che se si fa qualcosa alla natura la si fa a se stessi. E’ dunque in gioco non solo la perdita del lavoro, la morte delle persone che si ammalano perché il territorio è inquinato e dunque completamente inutilizzabile, ma l’esistenza stessa di un popolo e di tutto il suo mondo e la sua cultura.
Come cercate di difendervi da tutto questo?
In principio abbiamo fatto questa cosa chiamata toxitour, ovvero abbiamo organizzato dei veicoli per andare nel luogo della contaminazione a vedere cosa stesse accadendo. Quella volta andò abbastanza bene perché eravamo un centinaio di persone, un numero buono per la realtà locale e poi oltre a quello, abbiamo occupato un edificio che era l’ex casotto di direzione elettronica del giacimento e l’abbiamo dato ad una famiglia della comunità. Il toxitour è stato una cosa che ha aperto gli occhi un po’ a tutti, soprattutto a me che m’ero trasferito a Neuquen da un anno, quindi non conoscevo la realtà del petrolio che a dire il vero lì già esisteva, essendo una zona da tempo sfruttata per costruire pozzi convenzionali. Molti di quei posti infatti, avevano già avuto una storia di lotta contro l’industria del petrolio, però con il fracking passiamo di livello, sia per quanto riguarda l’impatto ambientale che per l’organizzazione che c’è dietro.
Ma questi luoghi non sono recintati e sorvegliati?
La casa era solo chiusa, i pozzi sono recintati perché lì c’è stata una lotta. Nella maggior parte dei casi i pozzi sono liberi. Per esempio ad Allen li hanno costruiti nel tessuto urbano che poi è un tessuto urbano semi rurale, ossia fatto di frutteti nei quali però c’è gente che lavora e vive. Quindi tu hai un impatto ambientale che si divide in vibrazioni della trivellazione, fuoriuscita di gas pericolosi dal terreno, che possono essere anche radioattivi come nel caso dell’uranio o del radon, effetto serra provocato dai camion che servono per portare l’acqua, visto che un pozzo ne usa fino a 30 milioni di litri. Mi sembra che per il suo trasporto siano utilizzati minimo 250 camion. Ed ancora il rumore di questi mezzi, l’inquinamento acustico per il fatto che le trivelle funzionino notte e giorno, come l’illuminazione.
Riguardo alle perdite di gas, il metano che fuoriesce dai pozzi e si libra nell’aria, ha un effetto serra 25 volte più potente dell’anidride carbonica.
Questo sarà un problema grande nella prossima ondata di fracking che non sarà più per shale e tight ma per l’estrazione dei metani, differenti idrocarburi che si trovano lungo le coste di Africa, America Latina e Asia. Quello sarà il prossimo obiettivo in realtà. Se si va a scavare e a cercare la genealogia di come nasce il fracking e perché, ci si accorge che esiste un disegno politico mirato, di cui oggi vediamo i primi effetti mondiali. Basta pensare alla guerra in Ucraina che si è scatenata dopo tutti quei mesi di rivolta, dietro la quale sono gli interessi strategici di nazioni quali gli Stati Uniti, soprattutto a causa dell’accordo che il governo ha fatto in quattro e quattr’otto con le imprese petrolifere Shell e Chevron, due delle più grandi compagnie che fanno frattura idraulica nel mondo.
Quindi le trivellazioni dovevano iniziare anche in Ucraina?
Anche per questo la Russia ha reagito, perché ha visto un paese che aveva firmato degli accordi nel momento della caduta dell’Unione Sovietica, tra i quali uno di non partecipazione alla Nato per esempio, che aveva dei debiti forti con la Russia rispetto alle forniture di gas ed era insolvente, firmare dei contratti con alcune imprese delle quali è nota la politica. Noi dobbiamo pensare che la Polonia ha già iniziato a fare fracking, il 72% del territorio della Romania è in mano alle imprese che faranno fratture, tutta quella zona lì è pronta per fare fracking, solo la Bulgaria l’ha proibito, quindi dove ci sono risorse e giacimenti si farà. Hillary Clinton ha tenuto infatti, una serie di conferenze ad esempio in Romania.
In effetti si percepisce un certo fermento in Europa riguardo le attività estrattive, convenzionali e non.
Infatti, c’è tutto un disegno strategico internazionale che oggi si riesce a capire, mentre fino a pochi anni fa sembrava fosse solo una fantasia. E questo è solo il governo Obama ma se noi ritorniamo ai governi precedenti, cioè alle presidenze dei Bush, ci rendiamo conto che è da lì che nasce la questione. L’assetto che hanno oggi gli Stati Uniti, le grandi corporation come Monsanto per il cibo, quelle del petrolio che rappresentano la storia culturale degli Stati Uniti e poi l’aspetto estrattivo delle miniere, il nucleare, il mondo della finanza dalla quale deriva la nostra crisi economica, si formano durante l’era di Donald Reagan, il cui vicepresidente fu George H.W. Bush, la presidenza di George H.W. Bush e quella del figlio George W. Bush. Il fracking fa parte di questo modello americano, è precisamente un esperimento per l’autosufficienza energetica degli Stati Uniti,che potevano iniziare ad estrarre quello che avevano nel sottosuolo per non dover più importare dai Paesi arabi, cosa che in realtà è avvenuta ma con grandissime resistenze dei movimenti sociali.
Tutto ciò è legato direttamente come un cordone ombelicale al TTIP e TPP, il trattato di interazione transatlantica e partnership e quello pacifico, un grande movimento per accerchiare l’asse Russia e Cina, con la creazione di zone di libero mercato per l’esportazione soprattutto di OGM e gas shale. Se non abbiamo chiaro questo, è difficile affrontare la situazione locale.
È un po’ l’errore che si fa in Argentina, non capire quale sia il disegno generale che è enorme. Se prendiamo ad esempio il caso delle miniere d’oro, per le quali in Argentina s’è portata avanti una lotta storica che ha dato anche alcuni risultati,questo disegno non c’era, mentre risulta evidente nel fracking e nel caso del transgenico, perché fanno parte dello stesso modello.
Cioè l’agricoltura transgenica servirà per l’energia?
Non tutta, ma di fatto oggi la maggior parte dell’agricoltura transgenica serve per l’energia non per l’alimentazione. Noi consideriamo la soia come qualcosa di estrattivo, come anche il grano, quest’anno è stato brevettato un grano transgenico argentino, è la prima volta che accade. Oppure è per noi estrattivismo l’accaparramento della terra. Tutto questo modello che noi chiamiamo della entrega cioè del rendersi, del dare, ha a che fare col fatto che l’acqua viene concessionata.
Siete trattati come foste una colonia..
Praticamente l’Argentina lo è. Si chiama neocolonialismo estrattivista. L’Argentina è un paese che in realtà andrebbe studiato, perché rappresenta il progetto che gli Stati Uniti hanno sul mondo. Anche l’Europa in realtà si sta “argentinizzando” perché con il TTIP, tutte le cose che sono state fatte in Argentina poi succederanno anche in Europa, in maniera minore, relativo ad un posto che ha meno risorse, dove il capitale umano è più importante delle commodities. E l’Italia è un paese che a livello d’impatto ambientale sta in ginocchio tanto quanto l’Argentina, ha 38 siti da bonificare di interesse nazionale, che ora hanno differenziato in nazionale e regionale e che sono altamente cancerogeni in un territorio non così vasto.
Sta uscendo fuori la vera faccia del capitalismo che alle brutte decide di cannibalizzare tutto.
Più che altro c’è questo movimento delle porte girevoli che si vede bene nel documentario di Marie-Monique Robin “Il mondo secondo Monsanto“, cioè molti manager vanno al governo poi dal governo passano alla corporation, poi ritornano e poi rivanno. Negli Stati Uniti c’è questa situazione assurda delle corporation che sono totalmente impersonali. Quando io mi pongo di fronte a questo problema e mi domando qual è il loro obiettivo finale, non riesco a pensare ad altro che all’autoreferenza assoluta. C’entra secondo me, anche l’idea della sicurezza che è fondamentale in questi ultimi anni. Questa paranoia della sicurezza che va dall’economia fino al terrorismo. Il controllo, l’idea che il governo debba governare in un certo modo.
E la vera dicotomia di questo momento, è la gente che si vuole rifugiare a fare la permacultura, le case di fango, gli orti biologici, l’ecosostenibilità eccetera e lo fanno al fianco del pozzo del fracking. Allora se prima non fermi attività come il fracking le altre sono inutili, perché la tua casa di fango sarà piena di acqua col radon o col benzene, la melanzana biologica lo stesso.
Parliamo dell’acqua.
Il problema dell’acqua non è tanto la quantità che è già folle come cosa, anche se una miniera a cielo aperto consuma più acqua del fracking. Il problema è il flowback, ossia l’acqua di riflusso,per la quale non esiste tecnica di purificazioneche comunque,qualora esistesse, risulterebbe talmente costosa da rendere il fracking non più redditizio. Poi il fatto che l’acqua ha dei livelli di contaminazione che sono molteplici, primo la migrazione degli idrocarburi, una parte di questi scende e una parte sale. Nel caso di Vaca Muerta che è un giacimento che sta più o meno a 3000 m di profondità, esiste tutta una teoria sul fatto che ci sarebbero dei tappi geologici per cui l’idrocarburo rimarrebbe in quei settori e non arriverebbe alle falde acquifere. Ma questo non è dimostrato né dimostrabile, è un’ipotesi dei geologi del governo. Quindi c’è un inquinamento da migrazione di idrocarburo come si vede ad esempio nel film “Gasland” di Josh Fox, nella scena in cui aprono il rubinetto e con l’accendino si avvicinano all’acqua che fa una fiamma, e poi ce n’è un altro che è quello da chimici. Di tutta l’acqua che si usa l’80% rimane nella terra, dentro ai tubi che hanno un doppio strato di acciaio e cemento..
…e quando si deteriorano?
È molto probabile e quasi certo che in una data X di un futuro più o meno lontano, tutta quest’acqua uscirà fuori. A lungo termine tutti i territori che sono stati fratturati saranno intrisi di questi agenti chimici cancerogeni, perché i tubi vengono lasciati dentro le trivellazioni ma essendo fatti di materiali soggetti a deterioramento, prima o poi si creperanno rilasciando l’acqua inquinata. E poi c’è il 20% di acqua che esce fuori. Dove si mette? Come si smaltisce? Allora si utilizzano dei pozzi ciechi di cemento, ma questo materiale pure ha una vita utile, quindi prima o poi inizierà a far filtrare l’acqua che tornerà alla terra. Il problema è che molte volte l’acqua contaminata viene buttata per strada dai camion che la portano via, come accade in Romania, oppure com’è successo in California il mese scorso la gettano in mare o come da noi nel fiume perché è vicino. L’acqua in realtà è la chiave di tutti questi processi estrattivi, non solo del fracking ma della soia, delle miniere, delle dighe, dell’energia elettrica, dell’accaparramento di terra e acqua, del nucleare che è un altro problema molto serio che c’è in Argentina e si lega al fracking, per quanto riguarda il progetto energetico.
Ma l’acqua dove la prendono?
Una delle ricette fondamentali per la frattura idraulica è infatti, che ci sia acqua disponibile, dei bacini idrici ed in più che sia gratis. Nel nostro caso ce n’è quanta ne vuoi, abbiamo tre fiumi enormi, certo già c’è una diga e ne stanno facendo un’altra, quindi i livelli dei fiumi salgono e scendono e c’è dunque, un impatto ambientale molto forte.
n.d.r. Solo la settimana successiva all’intervista, Giulio ci fa sapere che nell’ambito della riforma del codice civile e commerciale argentino, è stato cancellato l’art. 241 che stabiliva l’accesso all’acqua potabile come diritto umano. Pochi giorni dopo con la nuova legge sugli idrocarburi è stato legalizzato il fracking.
Un altro problema è il trasporto dell’acqua dal fiume ai pozzi, spesso lontani tra loro. Ciò implica l’alterazione delle infrastrutture per la quale è prevista la consulta previa, in base all’articolo 4 della legge nazionale dell’ambiente. Immagina che il traffico di camion, non di veicoli leggeri, si decuplica rendendo inevitabili gli incidenti, i camion cadono e rilasciano anche il loro contenuto che potrebbe essere metanolo, magari sono i chimici che producono esalazioni. Per non parlare del trasporto di materiali come la bauxite che serve per fratturare le arene compatte o lo scisto. Anche per quella enorme quantità di pietre c’è bisogno di trasporti,depositi e costruzioni di infrastrutture. Ora a Neuquen e a Vaca Muerta, c’è il problema del collasso di alcune strade non adatte a questo tipo di traffico e che purtroppo attraversano anche i paesi, allora si cerca di difendersi attraverso ordinanze che proibiscano il transito interno ai centri abitati di certi materiali.
A tal proposito, quali sono i vostri metodi di lotta?
Abbiamo fatto questo primo toxitour ed è stata una cosa interessante, l’idea l’abbiamo presa da quello che si faceva in Amazzonia quando si portavano le persone a vedere cosa avessero combinato Texaco e Chevron, che riempirono di petrolio tutto. E da lì abbiamo iniziato a fare anche altre iniziative tra cui l’adesione al Global Frackdown Day, il giorno internazionale contro il fracking durante il quale, per la prima volta Neuquen manifestò contro il petrolio. Abbiamo fondato il Parlamento Nazionale dell’Acqua, a cui hanno aderito vari movimenti sociali e partiti per organizzare quella che in Argentina, ripeto è la chiave di tutto, ossia la lotta per l’acqua. Si è deciso di usare la strategia delle ordinanze municipali, che proibissero nel tessuto urbano l’estrazione di non convenzionali, questa è una cosa che almeno disturbava e garantiva alla gente in città di non avere la presenza incombente dei pozzi. La prima ordinanza è stata deliberata a Cinco Saltos in zona Rio negro, lì c’è stata una grande partecipazione ed una vittoria. Dopodiché abbiamo provato ad Allen, e si è riusciti ad ottenere l’ordinanza municipale che però, è stata vietata da un giudice del supremo tribunale di giustizia della provincia che era molto vicino al governatore.
Abbiamo provato a fare ricorso ma non c’è stato verso, una lotta politica di due anni è stata cancellata da questa dichiarazione di incostituzionalità. In realtà c’è un articolo che dice che le risorse sotterranee sono della provincia e sono inalienabili, ma noi non la stavamo alienando la stavamo solamente conservando. E oltretutto ci sono anche altri articoli della costituzione nazionale e provinciale, che assicurano il diritto ad un ambiente sano a tutti coloro che vivono nel paese, non ai soli cittadini. Altri articoli della legge nazionale dell’ambiente parlano del principio di precauzione, forse la grande rivoluzione del diritto ambientale, che impedisce ogni azione se esiste il minimo dubbio di contaminazione. Queste cose non sono mai state considerate.
Facciamo inoltre incontri e spiegazioni nelle scuole. Abbiamo anche pubblicato un libro, che si intitola “Fracking no es no” e racconta la storia di un anno di APCA attraverso la raccolta di tutti i comunicati e gli articoli che sono usciti. Ora stiamo portando avanti un progetto dedicato alla memoria di Cristina Linkopan, che era la Lonko (guida spirituale e politica) della comunità Gelay Ko, morta a causa di una malattia polmonare procurata dall’inalazione di idrocarburi. Abbiamo già dipinto due murales, uno a Neuquen ed uno ad Allen. Lavoriamo molto sulla memoria di Tina perché vorremmo fare qualcosa per le quattro figlie. Stiamo portando a termine inoltre, il progetto di un’emittente radio nell’altra comunità Mapuche che non ha avuto il fracking perché è riuscita a bloccare un giacimento, l’unica comunità ad avere avuto successo. Poi vedremo in futuro di riuscire a far arrivare l’acqua. Penso alla legge regionale del Lazio che ha un fondo di solidarietà internazionale di accesso all’acqua, se Renzi non la cassa come sta cercando di fare, si potrebbe riuscire ad avere qualcosa da lì.
Chi vi aiuta a portare avanti la protesta?
Alcune associazioni di avvocati, ad esempio la AAAA Associazione Argentina Avvocati Ambientalisti. Ci appoggia in queste lotte Maristella Svampa, una sociologa importante che essendo nata ad Allen, s’è sentita coinvolta in prima persona in questa vicenda pur abitando a Buenos Aires, anche perché il padre era un produttore di pere che ha dovuto lasciare il suo frutteto. Condividiamo anche il campo di battaglia con la deputata di Neuquén Beatriz Kreitman che da anni spende le sue energie per difendere la natura, appoggiando e riconsocendo le nostre lotte. Abbiamo avuto degli appoggi, ma se andiamo a vedere non tanti quanti sarebbero stati necessari. In realtà la situazione è molto estrema, persone su cui puntare per fare una lotta sono molto poche, tra queste c’è Magdalena Odarda deputata di Rio negro che ora è diventata senatrice nazionale. E poi noi come assemblea ci muoviamo all’interno dell’Unione delle Assemblee Cittadine nazionale (UAC) ed anche la regionale patagonica (UAP).
Ma sono territori così grandi, che risulta difficile la partecipazione per appoggiare una causa specifica. Va considerato che questa gente non è abituata alle lotte, per loro è difficile pensare di dover opporsi a qualcosa e di uscire dal loro paese ogni volta che c’è una riunione.
Ad Allen oggi il morale è sotto le scarpe dopo due annullamenti manu militari. Invece a Neuquen la situazione è un po’ differente, perché non solo la zona è lontana dalla città, molta gente nata a Neuquen non è mai andata nella comunità mapuche nonostante siano a pochi chilometri, ma è anche un luogo dove alcune delle comunità mapuche presenti sul territorio, portano avanti una duplice politica, di negoziazione con le imprese enello stesso tempo di lotta contro il fracking. Lo dico perché, pur essendo certo che queste persone siano impattate in modo drammatico, la loro volontà di negoziazione per ottenere benefici che alla fine ottengono, consegna territori alle imprese. Esse prenderanno possesso della terra e vi opereranno colpendo così, indirettamente, molte altre persone che non avranno mai diritto a niente, e se finiranno per ammalarsi o morire per la contaminazione prodotta dall’attività estrattiva, questo difficilmente potrà essere dimostrato. Perciò il nostro motto è “Fracking NO ES NO!”.Noi come assemblea abbiamo deciso ad un certo punto di non agire più insieme a loro e di non partecipare più alle loro manifestazioni, tranne ad una fondamentale, il giorno dell’approvazione dell’accordo tra Chevron e YPF a livello provinciale, quella in cui la polizia per sedare la protesta, ha sparato ferendo un manifestante, professore di Storia dell’Universidad Nacional del Comahue, che ha ancora il proiettile vicino ad un polmone. Siamo rimasti invece in contatto, con la comunità Gelay Ko di Cristina Linkopan e quella di Winkul Newen di Portezuelo Chico di cui è membro suo cugino Martin Maliqueo. Quest’ultima vive una situazione particolare, essendo una delle poche che attraverso l’azione diretta, è riuscita a fermare da circa un anno l’estrazione e i pozzi. A causa di uno sversamento di petrolio nel proprio territorio,la comunità ha deciso di bloccare il passaggio all’impresa Apache e per tutta risposta, hanno subito due tentativi di sgombero da parte della polizia. Durante il secondo si sono difesi e per questo hanno ricevuto due denunce per tentato omicidio di pubblico ufficiale ed un processo che è tutt’ora in atto. Oltretutto questa comunità sta vivendo nel suo territorio ancestrale una carenza di acqua sempre maggiore, dovuta al fatto che le prove sismiche per installare i pozzi hanno chiuso le sorgenti presenti nella zona.
Tenendo presente lo scenario che ci hai descritto, cos’è che ti spinge ad andare avanti?
Innanzitutto aver iniziato. C’è una grande fiducia nel processo di inizio di qualcosa che cambia la dimensione del posto dove sei ed in qualche modo, siamo riusciti ad ottenere dei risultati. Il lavoro nelle scuole è un lavoro invisibile ad esempio, ma scommette sulle nuove generazioni. Personalmente credo che siamo dentro una dimensione naturale, parte integrante di questa e se per ora la situazione è disperata penso non lo sarà per sempre. L’idea è quella di far sì che la gente in futuro non faccia ciò che sta facendo oggi, spinta dalla povertà che generano questi processi, bisogna cercare di interromperli per permettere un altro tipo di sviluppo. Sacrifico il mio tempo perché capisco, che se non cerchiamo di mettere i bastoni fra le ruote a cose come il fracking, le altre tipo la biocostruzione o la permacultura, che amo fare, perché penso che sia un alto simbolo di civiltà costruire la propria abitazione con le mani e con mezzi naturali, non potremo mai più farle. Le faremo solo quando sarà la necessità ad imporcelo e quindi in una situazione sgradevole. Mi spinge il rispetto per i popoli originari, per i quali la guerra è solo una delle parti della vita di una persona, dove il conflitto è contemplato perché educativo, soprattutto se è un conflitto per maturare e per capire. Infine c’è un coinvolgimento spirituale, perché si diventa in qualche maniera erede di certe cose anche se non lo vuoi.
Giulia Di Trinca